giovedì 11 maggio 2017

Il disincanto e l'amore


Quello che scrivo ad alcuni potrà forse sembrare naif, potrà non piacere o provocare un’alzata di spalle. Ma quello che scrivo lo sento, lo vivo, lo penso, è una parte di quello che sono.E comunque la verità è che, qualche volta, mi sento in difetto. Mi sento in difetto nei confronti di questi nostri tempi moderni. Non riesco a non scrivere d’amore, a non dar forma ai miei entusiasmi, alle mie passioni, al mio senso di compartecipazione con la natura e con gli altri.

Non è che lo veda sempre mezzo pieno questo benedetto bicchiere che è la nostra vita. Conosco il dolore, la sconfitta, le piccole meschinità, le mie ombre e quelle altrui. Conosco e soffro l’irrisolto mistero della nostra piccola vita che può sembrare insignificante, la disillusione di chi non crede più in un Dio infinitamente buono e giusto che ci ha messo su questo Terra per un determinato scopo. Conosco la disperazione per un mondo che sembra indomabile e impossibile da correggere, da redimere. Conosco e comprendo l’assunto per cui la realtà è una mera costruzione condizionata dalla nostra maniera di percepire le cose e di interagire con esse. So che per questo non ci sarà mai possibile conoscere la “VERITÀ”, trovare risposte alle domande che da sempre assillano la nostra piccola esistenza di uomini.

Ma se anche non conosceremo mai la Verità, è possibile conoscere la nostra, la verità delle nostre emozioni, se non potremo mai redimere il mondo, possiamo migliorarlo per qualcuno e per noi stessi abituandoci a gesti di altruismo, di comprensione, d’ascolto.

Ciò che scrivo scaturisce da questa impostazione di vita. È qualcosa di spontaneo, non è un voler star bene per forza. È un flusso, uno stato d’essere, che spesso è semplicemente lì, spontaneo, e vuole essere cantato, omaggiato, condiviso.

Mi chiedo se oggi non abbiamo bisogno proprio di questo, se non possa considerarsi un atto rivoluzionario parlare di cose antiche come gli amori che durano, gli incontri che toccano, gli affetti che resistono, le corrispondenze che ci scuotono, le idee che restano, della nostra nostalgia per tutto ciò quando non riusciamo a viverlo, spesso per paura.

Perché ci rimpiccioliamo e sacrifichiamo la nostra anima, intesa come la parte più profonda e vera di noi, sull'altare di una modernità che ci vuole talora freddi, distaccati, razionali, disincantati, disillusi? Perché non capire il disincanto come una faccia di quel sogno che è la vita e magari una fase necessaria e di transizione per andare oltre?

Io penso che siamo ammalati di negatività, di una razionalità mal intesa che non ci rende liberi ma schiavi dell’apparire. Penso che il voler apparire sia una conseguenza del vuoto che avvertiamo dentro ed il vuoto è una conseguenza del negarci l’unica cosa che su questo così complicato mondo ci fa star bene: l’amore, gli affetti che durano, gli abbracci che non finiscono, le passioni che ci coinvolgono. O di negarci la gioia di celebrarli.
Oggi potremmo farlo alla luce di una razionalità che ci ha donato la capacità di riconoscere le nostre proiezioni, donandoci maggiore consapevolezza. Per ritrovare il senso in un mondo ammalato di una razionalità fredda e vuota perché svuotata dell’anima, abbiamo bisogno di una razionalità che nutra la chiarezza del cuore. Abbiamo bisogno di saperci leggere dentro.E allora, chissà, potrebbero succedere cose che oggi sembrano utopie, fantasticherie di menti naif.
Ma la realtà non sarebbe quello che è, se di tanto in tanto non ci fossero state persone che hanno sognato l’impossibile.
Testo
Maria Letizia Del Zompo
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