venerdì 27 gennaio 2017

Danzavano come stelle in fuga




Si ritrovarono ai margini del cerchio, oltre l’orizzonte degli eventi, stelle in fuga, in equilibrio sull’abisso. Danzavano la loro danza, attoniti e furibondi di vita, increduli d’essere altro dall’oblio.

In un grande vortice di particelle e luce, disperdevano, componevano, sommavano e dividevano, espandevano le loro energie, senza riserva, perché sapevano che tutto, comunque, sarebbe ritornato nel grande silenzio. Prima o poi. In quel vuoto che non era vuoto, in quella quiete che non era quiete. Una condizione che non conosceva parole e le conteneva tutte. Un insieme compiuto, in cui tutto era vuoto e contraddizione, e tutto era pienezza e coerenza.

Non c’erano confini, eppure esistevano orizzonti, non c’erano linee eppure esistevano forme. E in quel momento che precedeva l’esplosione o l’implosione – vettori opposti dello stesso evento - tutto era ipotesi e tutto era già compiuto. L’inizio e la fine di tutti i tempi, un bagno di luce nel grande buio.

Ma ora danzavano ai margini dell’orizzonte come stelle in fuga, in uno straordinario equilibrio sull’abisso e lo spazio si estendeva vasto, come un infinito oceano di luci e vita che pulsava in ogni dove. Erano in viaggio, in un tempo nuovo, che prima o poi si sarebbe concluso. Come sempre. Per iniziare di nuovo. Come sempre.

Erano stelle e gorgogliavano in cascate di luce, zampillavano cadenti nella fontana del tempo. Si allontanavano per ritornare, collidevano e sfrangiavano per scambiarsi sostanza, ruotavano, l’una attorno all’altro, si allontanavano e collidevano di nuovo. Una imponente danza ai margini del cielo. Ma ora, il cielo non aveva più margini e loro non conoscevano più confini. Perché la loro luce viaggiava e raggiungeva i più lontani e reconditi angoli di quel vasto universo. Erano lì e in ogni dove. L’eternità era appiccicata loro addosso come un fiume che trova sempre il mare in cui riversarsi, per diventare vapore e pioggia e ricadere nel mondo.

Quando la loro danza si fosse conclusa, prima o poi, sarebbero stati risucchiati dal buio, dalla fucina che trangugiava tempo e ne forgiava di nuovo, risucchiati, oltre l’orizzonte degli eventi, si sarebbero schiantati, smantellati, disfatti. Di nuovo nulla per essere ancora tutto.

Era la danza della luce e della vita, un’eterna danza oltre i confini del cielo, per essere oblio e sostanza, attimo e eternità, per essere attrazione e repulsione, battito e quiete.

Danzavano e danzavano ed erano ebbri, nella loro danza.


Testo di
Maria Letizia Del Zompo

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