Si ritrovarono ai margini del cerchio, oltre l’orizzonte
degli eventi, stelle in fuga, in equilibrio sull’abisso. Danzavano la loro
danza, attoniti e furibondi di vita, increduli d’essere altro dall’oblio.
In un grande vortice di particelle e luce,
disperdevano, componevano, sommavano e dividevano, espandevano le loro energie,
senza riserva, perché sapevano che tutto, comunque, sarebbe ritornato nel
grande silenzio. Prima o poi. In quel vuoto che non era vuoto, in quella quiete
che non era quiete. Una condizione che non conosceva parole e le conteneva
tutte. Un insieme compiuto, in cui tutto era vuoto e contraddizione, e tutto
era pienezza e coerenza.
Non c’erano confini, eppure esistevano orizzonti,
non c’erano linee eppure esistevano forme. E in quel momento che precedeva l’esplosione
o l’implosione – vettori opposti dello stesso evento - tutto era ipotesi e tutto
era già compiuto. L’inizio e la fine di tutti i tempi, un bagno di luce nel grande
buio.
Ma ora danzavano ai margini dell’orizzonte come stelle
in fuga, in uno straordinario equilibrio sull’abisso e lo spazio si estendeva
vasto, come un infinito oceano di luci e vita che pulsava in ogni dove. Erano
in viaggio, in un tempo nuovo, che prima o poi si sarebbe concluso. Come sempre.
Per iniziare di nuovo. Come sempre.
Erano stelle e gorgogliavano in cascate di luce,
zampillavano cadenti nella fontana del tempo. Si allontanavano per ritornare, collidevano
e sfrangiavano per scambiarsi sostanza, ruotavano, l’una attorno all’altro, si
allontanavano e collidevano di nuovo. Una imponente danza ai margini del cielo.
Ma ora, il cielo non aveva più margini e loro non conoscevano più confini. Perché
la loro luce viaggiava e raggiungeva i più lontani e reconditi angoli di quel
vasto universo. Erano lì e in ogni dove. L’eternità era appiccicata loro
addosso come un fiume che trova sempre il mare in cui riversarsi, per diventare
vapore e pioggia e ricadere nel mondo.
Quando la loro danza si fosse conclusa, prima o poi,
sarebbero stati risucchiati dal buio, dalla fucina che trangugiava tempo e ne
forgiava di nuovo, risucchiati, oltre l’orizzonte degli eventi, si sarebbero
schiantati, smantellati, disfatti. Di nuovo nulla per essere ancora tutto.
Era la danza della luce e della vita, un’eterna
danza oltre i confini del cielo, per essere oblio e sostanza, attimo e eternità,
per essere attrazione e repulsione, battito e quiete.
Danzavano e danzavano ed erano ebbri, nella loro
danza.
Testo di
Maria Letizia Del Zompo
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